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La maglia sociale

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Cogliamo l'occasione di pubblicare l'opinione di Matteo Piombo sulla questione "La maglia sociale", quale opportunità per invitare tutti a fare una riflessione sui rapporti tra società e atleti.

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"In gara è un obbligo sancito dalla Fidal e la mancanza di maglia sociale in gara ufficiale è sanzionata. Una regola che esiste da sempre ma che non ho mai visto applicare. La prima maglia sociale l’ho ricevuta a gennaio 1973 in un cross provinciale disputato a Tortona, non era la prima gara che facevo ma la mia società era appena fondata e nelle prime corse non erano ancora pronte le maglie sociali. Ero fiero di quella maglia e la tenevo da conto, usandola solo in gara e mai in allenamento, come ci avevano raccomandato.

Ho del resto sempre usato le maglie sociali delle squadre per cui correvo nelle corse e per me è naturale farlo, anche perché se si è contenti della propria società ci si sente fieri di farlo vedere. Altrimenti è meglio cambiare sodalizio. Per spiegare il rapporto atleta-società bisogna vedere se ci si sente parte di questa società. Perché molti atleti pensano che la società esiste solo quando gli serve, ma poi quando alla società serve l’atleta per un campionato, per una classifica o per una gara nella quale il club tiene a ben figurare lo stesso si rifiuta di dare il suo contributo. Io ricordo ancora bene il campionato di società assoluto 1977 nella sua fase regionale di Asti nella quale il club per cui allora ero tesserato decise di partecipare. Per essere classificati allora bisognava fare 20 punteggi in 18 gare diverse. E tutti cercammo di fare la nostra parte, a volte anche rinunciando alla gara che di solito disputavamo. Tutto per entrare in classifica come poi riuscimmo sia quell’anno sia nel successivo. Nel 1978 per esempio io disputai 800,1500 e 4x400 metri e mi sentii fiero del risultato di squadra, che era passata alla seconda fare. E sentivo di aver contribuito a quella qualificazione come i miei amici. Alcuni dei quali avevano fatto gare per loro non usuali per fare punteggio. Nessuno di noi quel fine settimana avrebbe rinunciato a gareggiare con la maglia sociale, proprio perché ci tenevamo a far vedere l’appartenenza al nostro club. E così nel 1981 quando mi tocco fare la 5 km. di marcia nel Trofeo Ancol per “fare punti” al fine di dare una mano alla società che poi vinse quella classifica, in piccola parte anche grazie alla mia gara. E altre volte ho vissuto situazioni simili. Quando si indossa la maglia sociale in gara è un po’ un simbolo ed è bello sentirsi parte di un gruppo. La maglia anonima forse potrà piacere esteticamente ma non significa niente. Credo che l’atleta che gareggia in un sodalizio si senta parte di questo e ci tiene a mettere la sua maglia sociale. Ho cambiato società alcune volte nella mia carriera, e in gara mettevo sempre la maglia sociale. Perché in ognuna c’era una scelta di campo, in cui quando l’ho fatta ho creduto. Scegli una squadra perché ti senti di appartenere a un gruppo, a una realtà sportiva, a un sodalizio. E così è logico che si vuole farla vedere anche agli altri la propria scelta"

Matteo Piombo

Tags: sociale

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