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Neve del Monferrato: ce la racconta Roberto Moro

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Oggi partecipiamo alla “MonferRUN”. È una mezza maratona, alla sua seconda edizione. Partenza da Nizza Monferrato, inchino all’abitato di Calamandrana, giro all’undicesimo chilometro sul porfido, ocra e lucido di pioggia, del centro di Canelli e ritorno. Si varca l’arco gonfiabile dell’arrivo, con i bip a tutto volume del rilevatore timer nelle orecchie, tra i portici delle vecchie vie da dove eravamo partiti. Nel mio orologio sono passati alcuni spiccioli minuti sotto l’ora e trentanove. È la ventesima mezza che corro, tanto così più di niente nel mondo di sudore e passioni travolgenti delle corse amatoriali. A mia parziale attenuante porto il pensiero sul ricordo degli inizi. Per dirla alla Marina Lante della Rovere in fondo quando ho cominciato erano già passati nove dei miei “secondi quarant’anni”. Dicevamo di Nizza. Il nome, condiviso in multiproprietà con quella francese (ma come sappiamo ex italiana) che quando fu Sabauda fu battezzata dai Reali: Marittima proprio per non confonderla con questa e quella di Sicilia che era ed è obiettivamente troppo lontana per essere confusa. Nizza è una parola di derivazione, guarda caso, greca. Il suo significato è “vittoria” ed in origine la sua pronuncia era NIKE e poi ditemi che le combinazioni casuali non vi suscitano qualche sorriso divertito. Corsa particolare la mezza. Non molto conosciuta dai non addetti, oscurata da altre specialità più note e blasonate, con la Maratona ad ingombrare il campo dell’immaginario collettivo. Diverso per i corridori. Anche quelli da niente e della domenica come il sottoscritto. La mezza, se la pratichi, la rispetti e la temi. Se la corsa può essere anche pensata come un esercizio di equilibrio sottile tra lo spingere ed il tenere allora su questa distanza le tue sette camicie le suderai tutte. I ventun chilometri e spingi sono sempre ostici e non serve, per guadagnarsi la pagnotta, che la giornata sia fredda come entrare in cella frigo come oggi, né che la poca neve vista quest’anno qui ti cada sul capo mentre arranchi sui continui saliscendi che da Calamandrana ci porteranno a Canelli per ritrovarli aspri e tutti interi sulla via del ritorno. Nei primi chilometri abbiamo avuta neve ghiacciata che cadeva a minuscoli spilli e dopo averti raggelato il viso rimbalzava al suolo facendosi acqua ad alimentare l’oceano di pozzanghere da evitare zigzagando. Negli ultimi i fiocchi fattisi robusti turbinavano la loro danza nel vento freddo del nord che, con i continui cambi di direzione del nostro itinerario, ha potuto prima rosolarci ben bene e poi, ultima beffa, mettersi robustamente contrario nello sforzo finale. Prima della partenza, nel bel fabbricato polifunzionale che ospitava distribuzione dei pettorali e servizi, avvertivi che non era una gara di casa. Pur a pochi chilometri qui ciò che è ligure non si avverte. Tra i partecipanti scorgi alcuni giovanotti con barbe e tagli potremmo dire “risorgimentali”. Certo non è facile immaginare Massimo d’Azeglio in capi tecnici a tinte evidenziatore ma tant’è il colpo d’occhio… L’accento delle ragazze, poi, presenta quella e larga e smagliante che da sola vale Torino e le magliette omaggiano Società sportive prossime al capoluogo: Pinerolo, Carmagnola, Valle Pellice, per dirne alcune. Prima del via le solite chiacchiere amichevoli ed i lazzi un poco sopra le righe dei principianti e dei loro accompagnatori – provocatori. Folta la rappresentanza dell’Atletica novese. Mi pare fossimo una trentina a rendere onore alla prima gara del Corri Piemonte. Mentre ci si preparava Massimo Dalle Crode, specialista delle gare veloci, ci ha detto che nonostante il mal di schiena non ha saputo dire di no ad un amico ed è tornato a misurarsi su questa distanza dopo tanti mesi. È la magia della corsa, si basa su elementi come lealtà e gusto della sfida. Richiami spesso irresistibili.

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